Continuando nella trattazione delle figure femminili dell’Antica Roma, forse non tutti sanno che oltre alla figura del gladiatore, divenuta celebre grazie al film con Russell Crowe, era presente anche quella della gladiadiatrice, ovvero di una donna che era solita combattere durante gli spettacoli nelle arene e negli anfiteatri armata di gladius, una piccola spada molto affilata e appuntita.
Questo mestiere femminile è rimasto a lungo dimenticato o messo in secondo piano rispetto alla figura maschile del gladiatore, simbolo per eccellenza della forza virile. Alcuni scrittori dell’epoca imperiale, però, fanno menzione della presenza di donne combattenti nominandole in vari modi: mulieres ad ferrum (CIL, XIV, 416), pugna et femina (Svet., Dom., 4), con espressioni più poetiche e metaforiche in armis Venus oppure femineo Marte (Mart., De spect., 6 e 7) e sexus rudis insciusque ferri (Stat., Silv., I, 6).
Dalle poche testimonianze archeologiche e letterarie che possediamo si può affermare che le gladiatrici fossero state schiave o liberte, provenienti soprattutto dall’Asia. Ad Alicarnasso, infatti, è stato ritrovato un bassorilievo molto singolare databile tra il I e il II secolo d.C. che raffigura due donne armate di gladio, scudo e schinieri che sono intente a combattere; sotto le due figure è scolpito il loro soprannome: Achillea e Amazzone probabilmente per richiamare il loro coraggioso mestiere.
Tra gli scrittori latini che menzionano le gladiatrici c’è Petronio, il quale ricorda uno spettacolo gladiatorio al femminile organizzato dall’imperatore Nerone; Svetonio nelle “Vite dei Cesari” sostiene che sotto l’impero di Domiziano furono organizzati dei combattimenti tra gladiatrici e nani, offrendo al pubblico uno spettacolo davvero inusuale ed infine Giovenale che, nella Satira VI, quella contro le donne, descrive in modo accurato l’armatura delle gladiatrici: “elmo grosso e pesante cinturone di cuoio per la spada, le protezioni per il braccio destro e le creste colorate dell’elmo oltre al mezzo gambale della gamba sinistra… fasciature gonfie e spesse coprono ben tese i suoi teneri polpacci”. Nello stesso componimento viene fatta allusione alla durezza degli allenamenti gladiatori, i quali si svolgevano in dei recinti appositi in cui venivano provate le armi e le posizioni, supervisionati spesso da un allenatore.
Dal punto di vista giuridico, nel 19 d.C. fu emanata una legge conosciuta come la “Tavola di Larino” in cui veniva vietato alle figlie, alle nipoti, alle pronipoti degli esponenti dell’ordine equestre e di quello senatorio di partecipare a spettacoli di gladiatrici; inoltre nel 200 d.C. l’imperatore Settimio Severo vietò definitivamente, con un editto, i combattimenti tra gladiatrici che, però, continuarono a svolgersi in varie parti dell’impero.
Nonostante le poche notizie si può sostenere che queste donne avessero una certa popolarità a Roma e nelle varie parti dell’impero, quello che è certo è la particolarità della loro professione, così lontana dall’idea comune della donna romana.
Caterina Spaterna